domenica 17 gennaio 2016

Recensione TGS-NERO su DISTORSIONI

di Romina Baldoni

Abbiamo già conosciuto il  valido duo lodigiano The Great Saunites che ha saputo stupirci per la densità oscura e avvolgente del loro suono, capace di ammaliare e coinvolgere emotivamente,  tanto nei concept da studio, quanto nelle performance live. Sono Atros al basso e Leonard Layola ai tamburi. La loro originalità si basa su ingredienti semplicissimi, il loro prodigio sta semplicemente nell’abilità di dosaggio di questi ingredienti.
Fanno entrare in un dialogo disarticolato e rutilante le asperità tribali di basso e batteria, montano un groove che inizialmente sembra spastico e slegato ma poi prende piede incuneandosi in stratificazioni sempre più spesse e ossessive, in un lento e inesorabile incedere cavernoso e ostinato, furente e vorticoso fino a inattese dispersioni psichedeliche. Le tensioni si allentano smontando questi cumuli ottenebranti di materica pesantezza con brillanti arguzie elettroniche, con una serie di inserti rumoristici ed effetti che si propagano e cadono in dissolvenza. "Nero", quarto disco in ordine di arrivo, segue anch’esso, come per i lavori precedenti, lo sdoganamento dal rigore della suddivisione in brani. 
Si tratta sempre di concezioni molto omogenee che avanzano in modo non programmato e per percorsi inattesi. Nel caso in questione sono tre atti che potrebbero riflettere tre possibili vie di fuga partendo da identici elementi narrativi. L’omonima Nero rievoca molto bene la suggestione visiva del promo video, una fusione osmotica che finisce gradualmente per assorbire ogni trasparenza. Il monocolore diventa un manto sinuoso, una sagoma liquida che inizia a danzare di una danza arcana, inquietante e ipnotica fino ad assumere tutte le forme più disturbate e bizzarre che la nostra mente va man mano attribuendogli sotto l’influsso e la suggestione impresse dal ritmo.  
Lusitania è pura frenesia, una corsa indomita, una selvaggia prova di resistenza che gioca sull’alternarsi spasmodico tra istinto, ferinità primitiva, brama sensuale. Di grande effetto gli intercalare e i contrappunti dei fiati che riportano a immaginari esotici e visioni oniriche. E il simbolismo da magia occulta torna prepotente a riaffacciarsi nella finale Il Quarto Occhio. Il classico dilagare per propulsione, che il precedente “The Ivy” (2013) aveva ben definito, allestisce un rituale pagano, l’ambientazione che prepara un rito iniziatico propiziatorio. Tra fumi che stordiscono e assalti serrati si rimane prigionieri di un incantesimo che raggela e risucchia, affascina e spaventa, intriga e soggioga. 

http://www.distorsioni.net/canali/dischi/dischi-it/nero

Nessun commento:

Posta un commento