mercoledì 4 aprile 2018

BROWN recensito da IYEZINE.COM

di Bob Accio


Prendo quest’oggetto, un CD, lo scarto e lo inietto nel lettore dello stereo, scruto la copertina di questo UFO e … no, faccio diversamente, prendo un mucchio di file posti sul pc, pospongo tutta la trafila manuale, e diretto schiaccio il tastino play del lettore VCL.
Esamino il PDF, allegato al pacchetto zippato inviatomi via e-mail, e cerco informazioni, foto, grafica, poi nel silenzio del mio office mi abbandono di conseguenza sulla megapoltrona nera completamente rilassato ad ascoltare le invettive sonore del duo The Great Saunites (TGS) from Lodi, attivissimi in questo ultimo decennio.
Intorno a me il bianco delle pareti, del mobilio, la smorzata lucentezza della grigia giornata odierna, mi esulano da distrazioni. Presento un’orda barbarica di libri, mi urlano, mi cercano con lo sguardo, sono alle mie spalle, ne avverto il tentacolare e irrispettoso desiderio di conquistarmi, di essere preferiti alla musica, giustappunto tiro la lunga tenda beige sino a coprirli del tutto, il sipario funzionale, ‘do not disturb’.
Chiudo le palpebre, è buio, vedo nero. Transita nel mio apparato ricettivo la musica, essa agisce su di me operando un’algida metamorfosi dell’umore, mi scompiglia i sentimenti, mi conduce per mano lungo posti che ignoravo costringendomi a vedere quel che non si vede con gli occhi.
Punto focale diventa quindi la concentrazione. Immagino il prestante duo in studio di registrazione intento a trovare l’assetto congeniale onde far quadrare nel miglior modo l’idea pensata per ciascun pezzo, collegando i punti di concertazione, cucendoli insieme per originare un PRODOTTO serio, deciso, che possegga forza impressiva. Ecco, ci sono, finalmente sintonizzato sulla lunghezza d’onda del disco, “BROWN”!
Il risucchio del conato, l’angoscioso allarme antiaereo che risuona senza promettere scampo, si spande soffocante, avvisa di un imminente arrivo distruttivo che farà tabula rasa di ciò che risiede in terra: quale orrenda visione desertica e sibillina!
Cancellato l’ovunque, e il novunque, ognuno sarà vittima degli eventi infausti.
L’intreccio del sustain ‘infinito’ del synth col corno mortuario, sorretti entrambi dal basso incessante, scolpiscono il sound piovoso che scava ampie pozzanghere nel terreno brullo; s’accentua la cupezza di paesaggi scuri e i presagi strozzano le speranze; vive la certezza delle pesantissime nubi che opprimono l’intorno scarno, deturpato, smisurato e al contempo vicino.
Emerge un oratore filtrato dalla radio, quelle valvolari esistenti al tempo del secondo conflitto mondiale, pare annunciare guerra, o un accorato proclama, la fine.
Il percorso intricato di filo spinato dà moto ad una fissità di alti e bassi rimanendo sul tema dello schema principale; affiancati da drammatici sound fields, rumori sinistri, intimorisce il tremebondo, efficace, lavoro dei tamburi. Nell’inalterato equilibrio s’introduce ad arte una voce lirica femminile, ammalia e sembra confortare i morti nel triste ma speranzoso trapasso: fa da contro campo il parlato ‘drag&drop’, oscuro ritaglio di un discorso microfonato (che poi sostituirà il cantato); percettibilmente la palpitante linea di basso subisce accenti e minime variazioni minacciose, mentre le trombe sintetizzate si sbizzarriscono curando un assolo continuo sottotraccia che sa di improvvisazione e meraviglia, oserei incuneare un’anima free jazz nelle doti musicali de The Great Saunites.
Il fluire della psichedelia dark incombe e ammanta il concept album di tinte fosche, ricche di sfumature plumbee + hypno music, mandando in sollucchero il pezzo, che nella sua lunghezza di quasi 15 minuti risulta metodicamente carico di carisma e inchiodante nel suo esplorare terre di confine. Era the first take: “Brown”.
Il seguente “Respect The Music” è un piccolo gioiellino, su basso fisso e pulsante viene recitata una frase che assurge a mantra sonoro. Il tastierino del pc nel suo pieno digitare impazzito è ottimo elemento sonicamente inserito. Il discorso totale è influenzato dallo splendido assolo, che appare distante, e dalle distorsioni a fascio di luce che contrastano con un’anima spettrale, energetica e dura espressa dalla chitarra. Il ricamo punteggiato decisamente space-kraut avvalora un’ottima invenzione (assolutamente apprezzabile anche il video).
Il terzo pezzo è “Ago”, una romanza pianistica sottomessa da fusi elettronici amplificati. Qualcosa dei Floyd di “Ummagumma” si intravede, interferiscono col pezzo suoni esterni, colpi ben integrati di tamburo, qualche compressore svapora ad alta pressione dai condotti, rumori che trainano verso gli Einstürzende Neubauten. L’atm pianistica comanda, una tromba si solleva a mo’ di marcetta, l’aria vagamente cacofonica avviluppa greve.
“Controfase”. La macchina da cucire non smette di pistonare – prerogativa del basso -, si ripescano effetti suonati al contrario (pregio dei revolveriani Beatles), eh, mica male! Pattern minori rendono il brano pieno, contornato, sino all’enigmatico finale fatto di strani colpi, battiti che culmineranno… nella ‘controfase’?
Siamo alla perla finale: 4:38 di durata per esprimere in concentrato i tratti salienti di “Brown”. E’ questo il ‘Reprise’ e porta con sé un odore tutto Brian Enoiano, suggerimento importato da “Music for Airport”, e ne tratteggia l’appassionato epilogo. Un lungo applauso viene concesso a termine dell’ascolto, meritatissimo.
La sequenza tennistica conclusiva potrebbe essere un rimando all’antonioniano ending di “Blow Up”? A voi la pallina.

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