lunedì 30 aprile 2018

Recensione BROWN su DISTORSIONI

di Romina Baldoni

Il duo lodigiano conclude con "Brown" la bella trilogia dedicata ai colori. E con bella si intende proprio la bellezza visiva delle tre cover realizzate in edizione limitata da Stefano Gerardi dopo quelle di "Nero" e "Green" (2016, Hypershape Records). Un motivo già di per sé sufficiente a giustificare l’acquisto del disco. Non solo, la trilogia mette in atto un’esplorazione sonora interessante che, con tutta l’impronta identitaria caratteristica del loop corrosivo The Great Saunites, si muove su traiettorie (e quindi cromatismi) differenti. Le nebulose oscure e la densità vischiosa della psichedelia occulta con "Nero"; il viaggio cosmico di "Green", rarefatto, impalpabile, basato su cambi ritmici, su una stratificazione della consistenza nella distribuzione del materiale acustico. Infine con "Brown" si offre una lettura interna che, rivestendosi del colore della terra, prova a ricostruire la geometria architettonica delle singole particelle. Gioco di equilibri e resistenze, di magnetismo e spigolosità. Abrasioni, addensamenti e tutto l’ansimante incedere di un suono mortificato dall’incapacità di trovare vie di fuga.

Ottimo anche il lavoro di mixaggio di Luca Ciffo (Fuzz Orchestra) che presta anche la chitarra nel brano Respect The Music. Linee che si spezzano, una spirale di cut up che si infrangono caoticamente su abbozzi deformi di rumori. Ripetitività in avvitamento che soccombe per asfissia. L’omonimo pezzo Brown è una sarabanda noise free form che tenta varie strade prima di trascolorare in un torbido indistinto e sfuocato. Continua il gioco perverso della sottrazione in una ridondanza claustrofobica ed epilettica. Ago si riveste di tutta l’ambiguità di un palpito, intenso, viscerale, tormentato. Una lotta impari per scorgere luce in una cavità di tenebre che rimanda solo la martellante scansione del respiro. Controfase ci riporta al motorik spaziale e visionario tanto caro alla esegesi di tutta la loro discografia. E poi c’è il bellissimo finale di Brown (reprise) che sembra quasi un canto elegiaco che celebra il tormento e l’inquietudine dell’uomo solo con se stesso. I pensieri incontrano il magnetismo che promana dal nucleo incandescente della terra. Le stringhe sonore tirate all’inverosimile rimandano il dolore e la vibrazione ancestrale del moto universale. Siamo prigionieri di una ciclicità da cui non sappiamo cogliere il mistero di eterno ritorno, la nuova congiuntura, la palingenesi del risveglio.

http://www.distorsioni.net/canali/dischi/dischi-it/brown

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